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Al futurismo parteciparono, con entusiasmo e originalità, donne di cui negli anni si è in larga parte persa memoria. Furono artiste poliedriche, danzatrici, scultrici, pittrici, ricamatrici, arredatrici, fotografe, trasvolatrici, ma in grandissimo numero furono scrittrici di poesie, prose, sintesi teatrali e tavole parolibere. Qui la poeta Sara Davidovics legge alcune poete futuriste. (Clip a cura di Bianca Madeccia).

(…)

Per la nostra società evitare lo sforzo è una condizione di felicità. La comodità è felicità nell’era della tecnica e della dimenticanza dell’essere. Tutti noi preferiamo beneficiare di qualche comodità. L’inganno sta nel farne l’unica idea di felicità possibile. (…) L’idea che conti solo il risultato è fondamentalmente ridicola poiché non si tratta del risultato ma del percorso. In altre parole, il risultato finale è per tutti una tomba. Se l’uomo perde l’idea di percorso, perde tutto. La questione dello sforzo non è dunque morale ma ontologica. (…) Leggi il seguito di questo post »

(…)

Mi ha mostrato le fotografie di lui. Che strano momento è quello in cui interroghi uno sconosciuto su un’immagine, e l’immagine e lo sconosciuto sono i tuoi nervi, le tue giunture, il tuo midollo spinale. Figlia di un padre ignoto. Lo guardo. Chi mi parla, chi mi risponde? Il fotografo. Ha messo anche la firma dietro la fotografia, dà il proprio nome a chi proprio non l’ha voluto dare. E’ un bel nome. Robert de Greck. (…) Precisa: “Si conservano i negativi”. Il fotografo non è avaro del suo nome. A me tocca il numero 19233. E’ come se l’infinito si trasformasse in un bussolotto pieno di pezzi di carta da estrarre. Il cuore dello sconosciuto che batte dentro il mio pezzo ha un numero. E’ il 19233. E non è tutto: specializzato in grandi ritratti, ingrandimenti con procedimento inalterabile al carbonchio. Grazie fotografo. 

(…)

(da “La bastarda” di Violette Leduc, con prefazione di Simone de Beauvoir, Feltrinelli, 1979)

 

(Foto di Bianca Madeccia)

Della sua goffagine essenziale, dei suoi gesti vani e consumati, dei suoi desideri equivoci e tenaci, del suo “da nessuna parte”, del suo censurato anelito di comunicare, dei suoi viaggi continui e ridicoli, del suo alzare le spalle come una scimmia affamata, del suo riso convenzionale e timoroso, della sua poverissima litania di passioni, dei suoi salti preparati senza rischio, delle sue viscere tiepide e sterili, di tutta questa piccola armonia domestica, il canto deve fare il proprio motivo principale.

Non temete lo sforzo. Attraverso i secoli c’è chi c’è riuscito felicemente. Non importa perdersi per quello, diventare estranei, allontanarsi dal cammino e sedersi a guardare il passaggio delle truppe con uno sguardo spesso di alcol. Non importa.

 

 

(Alvaro Mutis da “Prime poesie”)


 

 

Ideogramma Ki, foto di Bianca Madeccia





 

 

(“Sulla scrittura.2”, foto di Bianca Madeccia)

 

 

Donna corposa, terrestre, mia estate, mia notte,

Perché non ti trovo che muti, non ti vedo

Che nel rapido profilo d’un mutamento inconcluso?

 

Sei familiare e insieme difforme.

Cortese io sono, signora, ma sotto l’albero

Questa sensazione inattesa pretende che’io dica.

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