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IN CUI SI PARLA DI UNA FOGLIA DI PLATANO
Nel vagone si sta stretti come sardine ma c’è mancanza di olio.
Lui pensa a cosa c’è sopra la sua testa.
Non i capelli, e nemmeno il tetto del vagone, e nemmeno la volta della galleria, o la terra e i sassi il cemento i lombrichi che scavano e ghiaia mattoni cavi elettrici putrelle. No.
Lui pensa al manto stradale ancora più sopra. E sul manto stradale a una foglia secca di platano. Ha pochi secondi per pensare a quella foglia, che si sta già allontanando mentre la metropolitana si rimette in moto. Ha solo un attimo per pensare che quella foglia di platano è stata tra le dita di una ragazza che non incontrerà mai. Lei l’ha tenuta tra le dita per qualche secondo, poi l’ha lasciata cadere, all’ingresso del parco. Il vento ha fatto il resto.
Seduto con le spalle al
sole mi piace seguire
con le unghie l’onda
incerta del mento
sfiorarti appena il sangue
Eccomi, ti porto l’origine della Terra. Mi tremo il nome tuo nella bocca.
Vieni a diventarmi chi tu sei, mio granello innato. La veglia delle braccia
affoga la grande Superficie delle tue dita che già cominciano a zoppicare
di mai carezze scure, e come la guerra combattimi: ora voglio morirti nella mano.
Miei testi tratti da “L’acqua e la pietra” ospitati da Daniela Raimondi che ringrazio veramente di cuore, e per l’ospitalità, e per la bella recensione. Qui.
La poeta Annamaria Ferramosca tra gli ospiti di “Silenzi in forma di poesia”, (11-18-25 maggio 2008), rassegna di poesia contemporanea inserita all’interno della tredicesima edizione del “Maggio Sermonetano” (Sermoneta, Latina) legge due suoi testi inediti. Performance a cura della Scuola di Tai Ji Quan del Maestro Antonio Franzé. Direzione artistica e organizzativa di Bianca Madeccia.
Volti nel tempo degli incontri
saluti degli angeli
porte immaginarie nella brezza
il vento e il tempo:
vengono ragazzine vestite d’azzurro
indossano la festa
Tremando per lo spavento penso che compirei la mia vita
Solo se avessi il coraggio di una confessione pubblica
Rivelando l’inganno mio e della mia epoca:
Ci era consentito il gracidio dei nani e dei demoni
Ma le parole pure e nobili ci erano vietate
Con la minaccia di un castigo tanto severo, che chiunque,
osasse proferirne una
Già lui stesso si considerava perduto.
Berkeley, 1970
(da “Dove sorge e dove tramonta il sole”, Czeslaw Milosz)
La poeta Lidia Riviello legge Isabella Morra. Isabella Morra nacque da famiglia patrizia nel 1520 a Favale, tra Basilicata e Calabria, l’odierna Valsinni (Basilicata), dove era il feudo familiare. Isabella Morra fu uccisa a soli ventisei anni, nel 1546, nel castello di Morra, dai fratelli.
Clip a cura di Bianca Madeccia.