Per la follia del bene del mio sempre molto pensare

ho il dovere della notte che m’informa nella testa:

mi è questa l’occasione dell’amore dato per bocca.

Nella folla degli occhi verdi mi evento di nulla:

noi qui ci siamo, cosa di uomini e mi sono accanto.

M’inghiotti come una smorfia di medicina brutta

nel Bisogno o nel Ritorno mi ho incubo storto:

plagiato il sogno mostro dietro una fratta, e ho morto.

 

Nostro è questo amore che io non sono detto, che mi è

mare di ottobre a cataste di sole sulla pelle azzurra e nera.

Nostro è questo sudore appassionato e malato che ci ha

cercati o bagnati, fatti a pazzi e poi rappresi  su per le narici.

Nostro nostro è questo rancore intradito a ieri o, dov’eri,

che mi sono sanguinato le gengive per affermarti.Oh

siine fiero: mi sono ricoltellato il cuore che da solo non uccide,

non si uccide solo.

 

Il limite della notte mi ha chiesto mille volte di battere la notte.

Storta di infarto la parola e da dove mi viene se sviene l’afasia.

Le botte: che so quale ictus sfregiato, la maniera della separazione:

una volta sognai Dio, e a fianco ti ho visto, che mi sorridevi piano,

figlio accorto alla delusione, ma desiderai altri chiodi per la crocifissione.


Però, quando penso a te io penso a me che mi declino all’infinito

se per verbo ti accorgi di questa prima persona che ti chiama

allora dimmi pure che fa giorno, io tanto non ci credo all’alba che rimane.

 

 

(Inedito di Luigi Romolo Carrino)