La grande marcia su Washington era stata indetta il 28 Agosto 1963, in occasione del centesimo anniversario del proclama di Lincoln per l’emancipazione degli schiavi. Quel giorno il reverendo Martin Luther King pronunciò il suo più famoso discorso sulla non violenza, “I have a dream”.
Un giovane tra la folla assiste alla manifestazione. È Malcom X, leader emergente dei musulmani neri americani. Per lui questa manifestazione è “un circo equestre”: «Dove si è mai visto che dei rivoluzionari arrabbiati possano cantare tutti assieme “We shall overcome” mentre precedono tenendosi a braccetto proprio quelli contro cui dovrebbero ribellarsi?».
La comunità nera americana è spaccata in due: da una parte lo schieramento più intransigente di Malcom X, dall’altra, gli integrazionisti di Martin Luther King.
Quel 28 agosto, a fianco a Martin Luther King, anche una donna con una voce possente da contralto che guida la folla con le note di “We shall overcome”: è Mahalia Jackson, la più grande cantante di spirituals di tutti i tempi. Mahalia arrivava dal profondo sud, ma fu nella Chicago degli anni Trenta che diventò famosa come cantante di chiesa. Poi, dagli anni Cinquanta si schierò col movimento per i diritti civili sfidando i bianchi razzisti a fianco del reverendo King guidando le folle con la sua voce e finanziando le sue iniziative. Mahalia, che a sedici anni era venuta al nord a cercare fortuna, è di New Orleans, la città del jazz; qui vive con la sua famiglia in un ghetto abitato da neri, creoli francesi e italiani. Suo padre, timoniere su un piccolo battello del Mississippi, di domenica diventava predicatore in una chiesa. Tutte le domeniche Mahalia lascia la sua capanna e va nella piccola chiesetta pentecostale lì vicino. Le cerimonie religiose, alle quali assiste fin da piccola sono vere e proprie tempeste emotive in musica. I presenti venivano investiti da una tensione creativa paragonabile a una scossa elettrica. Le emozioni si facevano via via più intense, come nuvole che si addensano. Poi dalla profondità della cattiva coscienza di qualche peccatore un esile e toccante lamento, un sospiro, un gemito inframmezzato a una cadenza musicale. In un altro punto, tra la folla dei fedeli un’altra voce improvvisava la risposta. Il primo lamento allora veniva ripetuto, questa volta più forte e più impaziente. Altre voci si univano per dare risposta, formando una frase musicale.
È in questo ambiente che Mahalia inizia a cantare. A sedici anni lascia il sud e va a Chicago a cercare fortuna. Il nord in quel momento rappresenta per migliaia di neri la “stanza al piano di sopra” che compare in molte canzoni gospel.
Trova lavori come cameriera, domestica, lavandaia e continua a cantare nelle chiese. Ma anche se, come canterà lei stessa in un gospel anni dopo: “l’ingresso in paradiso è gratuito”, Mahalia capisce che se vuole continuare a cantare deve imparare un mestiere che le dia tranquillità economica. Comincia a lavorare come parrucchiera, poi riesce ad aprire un locale, il “Mahalia’s Beauty Saloon”. Ha successo e grazie ai soldi messi da parte apre un altro negozio, il “Mahalia’s House of Flowers”, un negozio di fiori.
Ora ha tempo e soldi e può permettersi di continuare a cantare nelle chiese più lontane. A Chicago canta con uno dei primi quartetti misti della storia del gospel, i Jonhson Gospel Singers. A vent’anni nel bel mezzo della Grande Depressione, Mahalia canta nelle chiese da una costa all’altra degli Stati Uniti; il suo successo per ora è limitato alle chiese battiste, ma grazie alla fama conquistata con questo gruppo potrà in seguito intraprendere la carriera di solista. In questi anni Eare Hines le offre un posto nella sua orchestra che lei rifiuterà. Si sposa e il suo matrimonio dura poco. Il marito vuole che lei sfrutti il suo talento nel mondo dello spettacolo. Ma per Mahalia l’arte è solo sacra e significa cantare in chiesa. Si rifiuterà sempre di cantare il blues che considera la musica del demonio, e che fin dagli inizi è stato visto dai credenti cantori di gospel come una musica corrotta, tanto che la madre di Mary Johnson, famosa cantante blues dell’epoca, dichiarerà che: “quando la figlia cantava quella roba si stava preparando la strada per l’inferno”.
Anche per Mahalia cantare il blues significa “trovarsi in una caverna profonda e invocare aiuto”. Solo alla fine della sua vita si riavvicinerà a questo tipo di musica forse intuendo, come dirà B.B. King, che: «Il gospel è la versione religiosa del blues e che l’unica differenza tra il gospel e il blues sta nelle parole, solo che chi canta il primo si rivolge a Dio perché lo liberi dal suo fardello terrestre, dalle sue catene, col blues invece rivolge una preghiera all’amico, alla donna che rende folle di amore».
In tutta la sua vita, la Jackson si rifiuterà di cantare nei locali notturni, parteciperà sì ai festival del jazz ma a patto che durante le sue esibizioni sia proibita la vendita di alcool. Comincia a registrare dischi a metà degli anni Trenta ma diventerà famosa solo dieci anni più tardi. Nel ’42 viene ingaggiata dalla casa discografica Dorsey. È grazie a Dorsey, ex pianista di bordello, che la gente torna ad amare il gospel. Lui vorrebbe cambiare lo stile di canto di Mahalia, renderlo più melodioso, ma solo quando non ci sarà più Dorsey a dirgli come fare lei comincerà ad addolcire il suo stile. Nel ’47 ritenta la via discografica con l’Apollo Records. Finalmente ha lo stesso successo che ottiene dal vivo, il suo cavallo di battaglia è “Move on up a little higher”, che nel ’45 vende un milione di copie. Nel ’50 l’organizzazione che coordinava le chiese battiste nere la nomina solista ufficiale della “National Baptist Convention”. È già la più grande cantante gospel di tutti i tempi. Passa alla casa discografica Cbs, ma soffre per le imposizioni dei manager dell’industria discografica. Si lancia con violento entusiasmo nella causa dei diritti civili, sostenendo il reverendo Martin Luther King con i soldi che guadagna. Nello stesso anno è a Tokio per i festeggiamenti del settantesimo compleanno dell’imperatore giapponese Hiroito. Canta alla Carnegie Hall di Londra; tutti i presidenti del suo tempo la invitano alla Casa Bianca e anche il Papa vuole che canti per lui in Vaticano. A Nuova Delhi, Indira Ghandi va nel suo camerino dopo lo spettacolo per farle i complimenti.
Ma non è il riconoscimento materiale la sua ambizione più grande. Mahalia soffre di insufficienza cardiaca e diabete ma quando nel ’65 King ritorna a Selma, nell’Alabama, lo Stato più razzista d’America, non si tira indietro: «Rischieremo condanne e oltraggi ma continueremo a marciare al suono della nostra musica salvatrice di anime», dichiarerà. Durante una di queste marce Martin Luther King viene arrestato per la sedicesima volta. Malcom X era stato ucciso pochi mesi prima ad Harlem durante un comizio. Scoppiano rivolte in molti ghetti neri. A Watts, un sobborgo nero di Los Angeles, sparatorie, devastazioni e incendi vanno avanti per undici giorni.
Quando nel ’66 King organizza un’altra grande marcia nel Mississipi, è costretto a cedere la guida ai dimostranti che gridano lo slogan “Black Power”. Dopo pochi mesi, a Oackland in California, viene fondato il movimento delle Pantere Nere. “Black Power” diverrà il loro grido di battaglia. Nel ’69 Mahalia ha il suo primo infarto. Martin Luther King era stato ucciso da pochi mesi. Tre anni dopo un secondo infarto a Monaco di Baviera. Viene portata in America ma questa volta il cuore non regge. Mahalia morirà il 27 gennaio del 1972. Al suo funerale Aretha Franklin canta in suo onore “Take My Hand Precious Lord” uno dei cavalli di battaglia di Mahalia. Nonostante il suo rifiuto di interpretare musica commerciale e la sua dedizione alla musica ecclesiastica ebbe tra i suoi ammiratori le più grandi personalità del jazz e del pop americano quali Duke Ellington, Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Sammy Davis Jr. , Harry Belafonte e considerata una delle più grandi cantanti afro-americane del Ventesimo secolo.
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