Operaie, contadine, studentesse, impiegate, aristocratiche, casalinghe, suore: furono loro alla fine della guerra le protagoniste della ricostruzione. Molte venivano dalla Resistenza. Nel ‘45 si organizzarono e ottennero il diritto di voto. Nel ‘74 fu la volta del divorzio. Nell”81, dell’aborto. Battaglie che determineranno profondi mutamenti di costume nella società italiana. Quella storia che a scuola non si insegna.
di Bianca Madeccia
«Si abbandonava la scuola prestissimo. Non si poteva viaggiare sui treni da sole. Nelle famiglie contadine non ci si sedeva neanche a tavola con gli uomini. I bambini e le donne in cucina e i maschi nel salotto buono. Molte di noi avrebbero voluto votare, poter lavorare fuori casa, discutere con i mariti per l’educazione dei figli. Avevamo davanti agli occhi l’esempio di mamme e nonne. Volevamo una vita diversa», racconta Aude Pacchioni, modenese, una delle centinaia di migliaia dì donne che durante la seconda guerra mondiale combatté con i partigiani contro il fascismo prima e per i diritti delle donne con Unione Donne Italiane poi.
«Fu un esperienza affascinante. Alla fine della guerra c’erano molte aspettative — racconta Aude —. Venivamo dalla lotta clandestina, la mia famiglia era nella Resistenza. Abbiamo nascosto partigiani e gente scappata dai campi di concentramento. L’Udi è stata una grande forma di crescita di civiltà. Le donne si incontravano, discutevano. Questo le metteva in contatto con la società, il che significava scrivere, leggere, imparare che esisteva altro al di fuori della propria famiglia».
L’Udi nasce nel settembre ‘44. Nel ‘45 la campagna per il voto alle donne, nel ‘74 il divorzio, nel ‘81, l’aborto: queste le grandi battaglie civili che hanno visto le italiane scendere nelle piazze. E poi le lotte per l’assistenza alla maternità, per la pensione alle casalinghe, per la parità salariale. Cinquant’anni di storia italiana. La maggior parte delle donne che fondarono l’Udi veniva dalla Resistenza. Erano state loro a sfidare fin dall’inizio le rappresaglie tedesche. Loro a nascondere in casa, nelle stalle o nei luoghi più impensati i disertori o coloro che cercavano di sfuggire ai rastrellamenti, o i prigionieri di guerra alleati. Aiutarono in massa i partigiani. Assaltarono i forni. Accompagnavano i fuggitivi fino ai più vicini nuclei partigiani. Molte pagarono con la vita. Alla fine della guerra operaie, contadine, studentesse, impiegate, aristocratiche, casalinghe, suore, tutte volontariamente, spontaneamente, senza un ordine, senza un appello, scesero in campo a ricostruire le città.
“Noi donne” contro la rivista “Grand Hotel”. Diffondevamo il nostro giornale in migliaia di copie — ricorda Aude —. Ci si spostava da un paese all’altro con corriere e biciclette. A rotazione portavamo il giornale anche nei posti più sperduti. Nessuno lo rifiutava. Molte riunioni si tenevano di sabato pomeriggio o domenica quando la maggior parte di noi non lavorava nei campi o in casa. Ci incontravamo nelle sale da ballo, al circolo comunale, nella sala riunioni dei sindacati. Qualche volta anche nelle fattorie. In qualche paese riuscivamo a mettere insieme anche centocinquanta donne, il che in un posto di campagna non era poco». Sia nelle campagne che nelle città il mezzo di trasporto più diffuso era la bicicletta: si pedalava in città, si pedalava in campagna. Le donne meravigliosamente e audacemente assunsero l’iniziativa. Ricostruire l’Italia in quei momenti significava soprattutto riuscire a mangiare. Bombardamenti, privazioni, fame avevano ridotto il Paese allo stremo: sapone, dentifricio acqua, gas, scarpe, candele. La mancanza della cose più banali assumeva le proporzioni del dramma. Procurarsi il cibo era la principale preoccupazione quotidiana: chi doveva fare la spesa era costretto a uscire la mattina presto e a girovagare alla ricerca di negozi o mercati che avessero qualcosa da vendere, non importava cosa, tanto c’era bisogno di tutto. Chi poteva allestiva orti nei parchi, cassette casalinghe sul balcone di casa per poter coltivare qualcosa. Legna e carbone scarseggiavano. Già durante la guerra erano comparse stufe a segatura e succedanei di caffè (‘ciofeche’, i caffè di cicoria, melassa di fichi, orzo).
Nel ’45 intorno al “Comitato per il voto alle donne” inizia a coagularsi l’Udi. Nell’ottobre dello stesso anno il primo congresso: le delegate provengono da settantotto province in rappresentanza di quattrocentomila iscritte. Con il referendum del 2 giugno ’46 l’Italia sceglie la Repubblica. Nell’assemblea costituente vengono elette ventuno donne. Parità di diritti politici, civili, sociali: questi i grandi temi su cui si discuteva e ci si scontrava.
«Fu anche attraverso la diffusione del giornale “Noi donne” che l’Udi divenne più forte, — racconta Aude — proprio all’inizio ci concentrammo sulle battaglie per asili e scuole. L’alto numero di asili nido oggi in Emilia Romagna si spiega con queste battaglie. Qualcuno riteneva che fosse male che le donne presenti nelle amministrazioni si occupassero di scuole, educazione, sanità. Io sono ancora convinta che invece fu fondamentale. Perché all’epoca soprattutto di questo c’era bisogno».
Cominciano a nascere in quegli anni le alleanze tra donne, che tutelate da diverse associazioni come l’Udi, rivendicano diritti, nidi, legislazioni, tutela nelle fabbriche e nel lavoro dei campi da parte dei sindacati.
Nel ’48, al secondo grande congresso dell’Udi si discusse di mantenimento della pace, assistenza alla maternità, sfratti, scuola. Fu costituita anche una Associazione delle donne capofamiglia. Ma è soprattutto dal ‘53 al ‘60 che le donne dell’Udi portarono avanti battaglie quali la pensione alle casalinghe, i prestiti matrimoniali per le ragazze e soprattutto, la grande battaglia per la parità salariale. Per contratto, a parità di ore lavocative, le donne prendevano il trentacinque per cento in meno degli uomini.
L’8 marzo ‘68: tra gruppi di ragazze dai lunghi capelli, pantaloni a zampa d’elefante e tuniche orientaleggianti, alcune giovani donne reggono uno striscione che porta la scritta “Pace nel Vietnam”. Nello stesso corteo ci sono anche slogan contro gli armamenti nucleari. Quelli sono gli anni dell’avvento dei mass-media e del mito americano, della televisione e degli elettrodomestici.
Ma è nel ’70 che ci sarà l’esplosione del movimento femminile. Le donne non sono più invisibili. Ci sono e si fanno vedere, gremiscono le piazze non solo l’8 marzo, fanno sentire la loro voce sul divorzio e sull’aborto, organizzano convegni, gruppi di lavoro, manifestazioni davanti alle fabbriche. Sono gli anni delle gonne a fiori, degli zoccoli, degli scialli, moda che ha caratterizzato il movimento femminile di quel periodo.
Nel ’70 viene anche varata la legge sul divorzio. Conservatori e clericali si adoperano immediatamente per indire un referendum abrogativo. L’Udi diventa un punto di riferimento di questa battaglia. Il passo successivo è la riforma del diritto di famiglia che tra le altre cose darà la possibilità alle coppie di riconoscere i figli nati fuori dal matrimonio. Fino a quel momento i bambini nati da persone non sposate venivano marchiati come ‘illegittimi’. Sempre nel ‘70 si organizza un corteo nazionale che farà scalpore: migliaia di donne sfilano con carrozzine e bimbi per chiedere asili. Si ottiene così un piano nazionale per l’istituzione di asili nido e nuove norme per le lavoratrici madri.
Nel ’75 l’Udi scende in piazza con il movimento femminista per la liberalizzazione dell’ aborto per il quale, secondo una legge fascista, si andava in galera.
Dal ’44, anno di fondazione dell’Udi molte cose sono cambiate, il resto è storia di oggi, una storia che a scuola nessuno insegna.
2 commenti
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marzo 13, 2013 a 6:45 PM
Bianca racconta Aude. Aude racconta l’UDI | Associazione nazionale degli archivi UDI
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marzo 17, 2016 a 10:41 PM
Bianca racconta Aude. Aude racconta l'Udi
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